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Finalmente è arrivata la primavera, davvero non ne potevo più dell’inverno! Anche se è appena cominciata, ho già tirato fuori dall’armadio i vestiti primaverili, più leggeri e non vedo l’ora di mettere via calze e calzini. Tempo di fare qualche bella passeggiata all’aperto, godendosi il sole, l’aria mite e i primi fiori. La cosa migliore è che le giornate durano sempre più a lungo, il buio invernale è finito!
Modi di dire
Avere molte primavere / avere molte primavere sulle spalle: essere anziani
Es. Ora mi stanco molto più facilmente di un tempo, ormai ho molte primavere sulle spalle.
La primavera della vita: l’adolescenza o la giovinezza.
Es.: Godetevi questi anni, siete nella primavera della vita!
Proverbi
Una rondine non fa primavera
In Italia, a primavera tornano le rondini, ma di solito arrivano a stormi. Per questo, vederne una sola non significa che la bella stagione sia arrivata, bisogna vederne molte di più.
Allo stesso modo un fatto isolato non prova niente, per arrivare a una certezza dobbiamo averne molti di più.
San Benedetto, la rondine sotto il tetto
Il significato è: il giorno di San Benedetto, arriva la primavera, rappresentata dalla rondine.
San Benedetto, fino al 1970, si festeggiava il 21 marzo, giorno in cui cadeva l’equinozio di primavera, e secondo la tradizione mentre il santo moriva (il 21 marzo appunto) sarebbe arrivata la prima rondine.
L’equinozio ora cade il 20 marzo a causa della differenza tra il calendario che usiamo ( il calendario gregoriano) e l’effettiva durata dell’orbita della terra intorno al sole. Per questo col tempo la data dell’equinozio è cambiata.
Festa di grandi e piccoli, comincia praticamente subito dopo l’Epifania, il 6 gennaio, e arriva al culmine nella settimana tra il giovedì e il martedì grasso. Il mercoledì delle ceneri inizia ufficialmente la quaresima.
Bambini e adulti si mascherano e vanno in piazza, dove si incontrano gli amici, si fa festa, si balla, si lanciano coriandoli e stelle filanti.
Le maschere e i costumi variano. Ci sono quelli molto ricchi, a volte pagati da Associazioni culturali, ma ce ne sono anche ‘poveri’, inventati e cuciti in casa.
Si preparano dolci speciali come le frittelle e i galani che una volta venivano fritti nello strutto, cioè nel grasso di origine animale, quindi la carne che poi era severamente proibita in quaresima. Lo stesso nome, carnevale, verrebbe proprio da carnes levare (togliere la carne) o carne, vale (carne, addio).
Il carnevale più conosciuto è quello di Venezia, ma si festeggia, in tutte le città italiane, ognuna con le sue particolari tradizioni, da Nord a Sud. Ne vediamo alcune.
Venezia
Sicuramente il più famoso, anticamente cominciava addirittura in ottobre. Come ora, per tutto l’inverno c’erano balli e feste ovunque e la città era invasa dalle maschere che spesso creavano problemi di ordine pubblico. Le piazze ospitavano spettacoli teatrali ed esibizioni di acrobati. Proprio uno di questi spettacoli ha dato origine a una tradizione che continua ancora oggi: il volo dell’angelo.
Nei primi giorni del carnevale a mezzogiorno in punto, quando suona la marangona (la campana più grande del campanile di San Marco) una ragazza, appesa ad una corda, si lancia dal campanile e atterra in piazza, dove è accolta dal Doge in persona.
Questo evento ha origine in una storia vera. Verso la metà del 1500, un giovane acrobata turco, riuscì a camminare su una corda che partiva da una barca in bacino San Marco e arrivava fino al campanile. Quello che fu chiamato lo svolo del turco (il volo del turco) ebbe talmente successo da essere ripetuto anche negli anni seguenti. Ci furono molte variazioni, tra queste una che vedeva lanciarsi un uomo con le ali da angelo, da cui il nome di volo dell’angelo.
Nel 1759 ci fu un incidente, l’angelo cadde e morì. Da allora, per molto tempo, a volare fu una colomba di legno che spargeva fiori e coriandoli sulla folla: il volo della colombina.
Ripreso in tempi moderni, il volo ha avuto come protagoniste varie celebrità, ma ora l’angelo viene scelto attraverso un concorso tra le ragazze della città.
Ivrea
Qui si svolge per tre giorni la battaglia delle arance che ricorderebbe la rivolta degli abitanti contro un tiranno del XII secolo. Oltre a tassare pesantemente la popolazione, il tiranno avrebbe preteso anche lo jus primae noctis, cioè il diritto di passare la prima notte di nozze con ogni donna della città ma una giovane mugnaia (una ragazza che lavorava in un mulino) si ribellò sostenuta dal resto del popolo.
Nella battaglia 9 squadre di aranceri a piedi, che rappresentano il popolo, attaccano a colpi di arance i tiratori che si trovano su carri trainati da cavalli e indossano delle protezioni che ricordano le armature. Dopo la battaglia, tiratori e aranceri vanno a bere insieme e la piazza rimane ricoperta di arance frantumate.
Una curiosità: gli abitanti di Ivrea si chiamano eporediesi.
Viareggio
Benché a Viareggio la tradizione del carnevale sia antica, i corsi mascherati sono invece relativamente recenti, gli ultimi trent’anni del 1800. Inizialmente i carri che sfilavano lungo la passeggiata a mare erano molto pesanti, costruiti in stucco e altri materiali. Dal 1923 sono animati e dal 1925 la cartapesta permette di costruire carri enormi ma leggeri e maneggevoli. Dal 2001 vengono costruiti nei sedici hangar della Cittadella del Carnevale. Sempre il loro tema è la satira politica e sociale che ridicolizza i potenti del momento.
Quello di Viareggio è anche uno dei carnevali che dura oltre il mercoledì delle ceneri, fino alla domenica successiva.
Milano
Il carnevale ambrosiano è un po’ speciale, perché invece del martedì grasso ha il sabato grasso e invece del mercoledì delle ceneri, la domenica delle ceneri.
Ci sono varie spiegazioni e leggende. Una di queste dice che nel IV secolo il vescovo di Milano Ambrogio (da cui ambrosiano) non potendo tornare in tempo da un viaggio, pregò i milanesi di aspettare il suo ritorno per iniziare i riti della quaresima.
Personaggio centrale di questo carnevale è Meneghino: maschera della Commedia dell’Arte, vestito di verde e accompagnato dalla moglie Cecca, prende in giro i nobili e i potenti.
Le frittelle veneziane (fritoe venexiane in dialetto) sono un po’ il dolce ufficiale del Carnevale, a Venezia e in Veneto, ma non solo.
La ricetta risale addirittura alla seconda metà del 1300. Conservata nella Biblioteca Nazionale Canatense di Roma, rappresenta la prima testimonianza scritta della gastronomia veneziana.
Le frittelle erano impastate e fritte in piazza dai fritoleri, riuniti in un’associazione che assicurava ad ognuno di loro una propria esclusiva zona di vendita, passata poi rigorosamente di padre in figlio assieme alla professione.
I fritoleri erano molto popolari a Venezia, tanto che una di loro appare, intorno al 1750 nel dipinto di Pietro Longhi, La venditrice di fritole. Un’altra fritolera, Orsola, sarà nel 1750 tra le protagoniste de Il campiello di Carlo Goldoni.
Considerate, nel 1700, il dolce nazionale della Repubblica di Venezia, le fritole venivano fritte in olio o grasso di maiale, cosparse di zucchero e poi infilate in uno spiedo che permetteva di mangiarle senza sporcarsi.
Esistono molte versioni della ricetta: da quella tradizionale, vuote o con uvetta e pinoli, a quella più ricca con crema pasticcera o cioccolato, fino ad arrivare alle variazioni con frutta, fiori ed erbe.
Una cosa è sicura: in qualsiasi modo si facciano, sono sempre buonissime!
L’inverno ha il suo fascino e i suoi vantaggi ma l’influenza sicuramente non è tra questi.
D’inverno, quando ho tanto da fare e sono stanca, qualche volta sogno di avere l’influenza per poter stare a letto a dormire senza fare niente.
Ma la realtà è molto diversa: a letto, ma chiusa in casa, con mal di testa e naso chiuso, a starnutire e tossire continuamente, consumando migliaia di fazzoletti di carta.
Forse perché gli alberi diventano di tutti i colori, le giornate sono più corte, cadono lefoglie, fa buio presto ed è bello starsene a casa al calduccio con un buon libro e un bel té caldo, magari con il gatto sulle ginocchia, mentre fuori piove o c’è nebbia.
L’autunno mi fa pensare agli animali che vanno in letargo, come il riccio, ma anche alle mele, alle prugne, alle marmellate fatte in casa e mangiate la mattina a colazione con il pane e il caffelatte caldo.
In cucina arrivano zuppe e minestre bollenti e in città si cominciano a vendere le caldarroste.
Comincia a fare freddo, dagli armadi escono i vestiti pesanti, le sciarpe e i cappotti, tra poco anche i guanti.
Ci si prepara all’inverno.
Vediamo ora gli 8 modi di dire:
Piove sul bagnato
Quando un avvenimento non modifica una situazione, anzi l’aumenta, positivamente o negativamente.
Esempio:
Il signor Rossi, l’uomo più ricco del paese, ha vinto le lotteria: piove sul bagnato.
Il terremoto ha distrutto la casa di Gino. Pensa che due settimane fa i ladri gli avevano rubato tutto. Piove sempre sul bagnato.
Mangiare la foglia
Capire le vere intenzioni di qualcuno.
Esempio:
Mi diceva sempre che doveva lavorare fino a tardi in ufficio, ma io ho mangiato la foglia, l’ho seguito e ho scoperto che invece si incontrava con Luisa!
Una mela al giorno leva il medico di torno
Se mangeremo (almeno) una mela al giorno, saremo sempre in salute e non avremo mai bisogno del medico.
Chiudersi a riccio
Non voler dare spiegazioni o accettare critiche
Esempio:
Ho provato a parlargli, ma è inutile, si è chiuso a riccio!
Essere una zucca vuota
Essere poco intelligente
Avere sale in zucca
Essere molto intelligente
Prendere in castagna
Sorprendere qualcuno nel mezzo di una cattiva azione
Esempio:
I ladri sono stati presi in castagna dai carabinieri proprio mentre uscivano dall’appartamento.
Togliere le castagne dal fuoco
Risolvere una situazione difficile, spesso per un’altra persona.
Esempio:
Ti sei messo nei guai e adesso io dovrei toglierti le castagne dal fuoco? Ma nemmeno per idea!
Il suo nome completo è Accademia della Crusca, con sede a Firenze dove fu fondata il 25 marzo 1585 da un gruppo di dotti linguisti che volevano separare il buon italiano (la farina) da quello cattivo (la crusca, appunto). Da allora, e attraverso periodi più o meno bui, la Crusca rappresenta il punto di riferimento per chi vuole usare correttamente la lingua italiana.
Come studenti di italiano sapete benissimo come spesso non siafacile decidere tra le preposizioni, tra maschile o femminile, o ancora peggio tra indicativo e congiuntivo. Tranquillizzatevi: anche per gli italiani non è sempre facile. Ma per fortuna c’è la Crusca!
Tra le sue varie iniziative troviamo una battaglia contro l’invadenza dell’inglese nell’italiano e la spinta a creare e diffondere parole nuove.
Qualche tempo fa infatti, la Crusca ha incoraggiato un bambino che aveva proposto un nuovo aggettivo: petaloso (pieno di petali, es. un fiore petaloso). Se gli italiani la useranno davvero, petaloso diventerà a tutti gli effetti una parola italiana.
La Crusca quindi non è un rigido poliziotto della grammatica ma un valido aiuto per chi ama la lingua italiana, vuole usarla bene e arricchirla.
Ti amoè (o dovrebbe essere) una seria dichiarazione d’amore.
Amare solitamente indica l’amore passione. Per una persona (Amo Luciano) ma anche un’attività (Amo dipingere), un genere o un gruppo (Amo il cinema giapponese/la cucina tailandese/ iquadridi Monet), o un cibo (Amo la pizza!!!). Si può dire Amo I miei figli, ma anche Amo gli animali.
Ti voglio bene, invece dovrebbe essere riservato a famiglia, amici o persone per cui proviamo affetto. Voglio bene a miofratello / alla mia amica Giovanna, ma non si dice Ti amo a un familiare o a un parente. Al contrario possiamo dire Ti voglio bene al Lui o alla Lei della nostra vita.
Mi piaci, vuol dire che siamo interessati a una persona: per la sua simpatia, per le sue idee, il suo comportamento. O il suo fisico.
Avere / Prendere una cotta per, quando qualcuno ci piace davvero molto, sembra quasi amore, e forse lo diventerà, ma non è esattamente la stessa cosa: Ha preso una cotta per il suo compagno di scuola.
Innamorarsi di, il momento in cui l’amore comincia: Mi sono innamorata di lui quando avevo 20 anni.
Esere innamorato/a di, provare amore per una persona: Sono innamorato di lei come il primo giorno.
Perdere la testa per, quando la situazione è quasi patologica: non si mangia, non si dorme, parliamo solo di lui/lei.
Vedersi con, Uscire con, Frequentare, quando due persone si vedono frequentemente, sono legate da un sentimento speciale, ma ancora il rapporto non è serio: Esce con lui da un paio di settimane
Stare insieme con, Mettersi con, sono una coppia: Finalmente si sono messi insieme!
Essere geloso/a di, provare sentimenti di gelosia per la persona con cui si sta: È gelosissima di suo marito! Ma anche verso possibili rivali: È geloso degli amici della sua ragazza.
Rompere, Lasciarsi, la coppia è finita: Hanno rotto da un anno, Si sono appena lasciati.
L’amore, si sa, fa fare e dire cose assurde. Infatti gli innamorati spesso si chiamano tra loro con nomi speciali: vezzeggiativi o nomignoli amorosi:
Ci furono presentati per la prima volta da Mietta e Amedeo Minghi al Festival di Sanremo del 1990 e da allora sono diventati dei classici del linguaggio amoroso.